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E’ l’Italia la regina del turismo nel mondo: i numeri parlano chiaro

di Gavino Maresu

Le statistiche talvolta rappresentano un paradosso perché nascondono la verità… Fin dal XIII Rapporto sul Turismo Italiano (2004) è stata evidenziata la necessità di compiere indagini aggiuntive per indagare, approfondire e completare alcuni aspetti del mercato come il ruolo delle abitazioni per vacanza e gli aspetti motivazionali”. 

Così scrivono Emilio Becheri e Mara Manente sul “XXIV Rapporto sul Turismo Italiano 2020/2022”, edito a cura di CNR/IRISS (Consiglio Nazionale delle Ricerche/Istituto di Ricerche su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo), nel capitolo “La produzione statistica sul turismo in alcune regioni e la loro compatibilità con le statistiche ufficiali nazionali”.

Questa frase diede lo spunto all’associazione “ITP – Italian Travel Press” per promuovere e organizzare un convegno che si svolse in due sessioni diverse lo scorso 9 ottobre 2024 presso l’Expo Centre di Rimini nell’ambito di “TTG Travel Experience”, organizzato da “Italian Exhibition Group”. “Dobbiamo credere alle statistiche sul turismo?” era il provocatorio titolo del convegno, accreditato come stage formativo per giornalisti dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, diffuso online e moderato da Nicoletta Martelletto, presidente di Italian Travel Press.

La prima parte ha visto come relatori Maria Teresa Santoro, primo tecnologo Istat, responsabile unità statistiche del turismo della Direzione Centrale per le Statistiche Ambientali e Territoriali; Emilio Becheri, ideatore e coordinatore del “Rapporto sul Turismo Italiano” fin dalla prima edizione del 1984 e Gavino Maresu, già docente di Gestione delle Imprese e degli eventi turistici all’Università di Genova, giornalista e socio di Italian Travel Press.

L’incontro aveva lo scopo di illustrare da un lato le metodologie di raccolta, elaborazione e classificazione delle statistiche del turismo e dall’altro la loro attendibilità, attraverso il confronto e una sorta di esegesi delle fonti che le elaborano e le diffondono, per concludere non solo sull’attendibilità dei numeri che vengono diffusi, ma anche se ci si possa fidare di essi nel programmare lo sviluppo turistico di determinate destinazioni. A volte infatti i numeri non corrispondono a quello che accade nei territori soprattutto con il fenomeno dell’overtourism o peggio dello sviluppo turistico non sostenibile che crea fenomeni non solo di degrado della qualità della vita di molte località turistiche, ma anche delle vere e proprie diseconomie a carico anche della stessa economia del turismo!

Le statistiche infatti dovrebbero aiutare i responsabili delle politiche economiche a prendere decisioni corrette in condizioni di incertezza: la pianificazione e programmazione del futuro dell’economia, del benessere e dell’ambiente di una data località (città, regione, nazione ecc.) e della sua comunità infatti si basano in primis sull’analisi dei numeri relativi ai trend “storici” dei vari fenomeni socioeconomici, culturali e ambientali che vi si sono verificati: se tali numeri sono poco corretti o addirittura inattendibili si corre il rischio di prendere decisioni errate circa il benessere futuro delle comunità e dei territori in cui esse vivono.

1 – Le “verità” enunciate dalle statistiche sul turismo italiano

Al paradosso che le statistiche nel turismo nascondano la verità enunciato da Emilio Becheri, ha risposto Maria Teresa Santoro precisando che più che di verità nascoste bisognerebbe parlare di diversi fenomeni e aspetti colti dalle statistiche ufficiali del turismo elaborate e diffuse dall’ISTAT e che riguardano in particolare la capacità degli esercizi ricettivi, il movimento dei clienti negli stessi esercizi e i viaggi e vacanze degli italiani.

Tali indagini rispondono ai dettami del Regolamento UE n. 692/2011 relativo alle statistiche europee sul turismo, così come modificato dal Regolamento delegato UE n. 2019/1681, e sono comprese tra le rilevazioni statistiche inserite nel Programma Statistico Nazionale (PSN). “Questo quadro di riferimento – ha precisato la dr.ssa Santoro – consente la diffusione di dati compatibili e concettualmente armonizzati all’interno dell’UE e garantisce un maggiore controllo sulla qualità dei dati”.

L’ISTAT inoltre produce e diffonde molti altri dati ufficiali sul turismo attraverso diverse indagini non tematiche in senso stretto, ha proseguito la dr.ssa Santoro, tra cui le statistiche sui vari mezzi di trasporto, sui musei e i luoghi della cultura, sulle imprese, le attività dei servizi di alloggio, di ristorazione, sugli agriturismi, le agenzie di viaggio ecc.

Di particolare importanza sono le statistiche elaborate all’interno dei Conti Nazionali e in particolare il cosiddetto “Conto Satellite del Turismo” (CST), aggiornato ogni due anni che crea un collegamento tra le statistiche del turismo e il sistema dei conti della Contabilità Nazionale e consente di conoscere il peso del turismo all’interno dell’economia del nostro Paese, come l’impatto sul PIL e sulle altre variabili economiche, tra cui l’occupazione diretta e indotta, oltre che di valutare gli effetti direttamente attivati dai consumi turistici sulle diverse attività economiche con le quali quelle di carattere strettamente turistico attivano interdipendenze settoriali.

2 – Le verità nascoste dalle statistiche ufficiali sul turismo italiano

Fin qui sembra tutto chiaro e non c’è nulla da eccepire sulle statistiche ufficiali elaborate dall’ISTAT sul turismo, tuttavia è proprio la loro ufficialità a definirne limiti e confini, nel senso che il nostro Istituto statistico nazionale analizza soltanto i dati relativi alle imprese turistico-ricettive classificate ufficialmente come tali dalle varie leggi nazionali e regionali, che consistono in 224.644 imprese che offrivano complessivamente 5.200.234 posti letto nel 2022.

Non analizza però il movimento turistico ospitato negli oltre 3 milioni di case e appartamenti offerti in locazione turistica soprattutto nelle località balneari e montane e nelle principali città d’arte, secondo lo studio di Mercury/Rescasa: “Il turismo italiano negli appartamenti. Primo Rapporto 2005“. Tale dato è stato peraltro riconfermato più di recente anche della FIAIP, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, nel “Report Immobiliare delle locazioni brevi ad uso turistico nelle principali località italiane” del 2022.

Ipotizzando che questi appartamenti dispongano mediamente di soli 4 posti letto, si arriverebbe a un’offerta ricettiva di 12 milioni di posti letto che attiverebbero il cosiddetto “Turismo che non appare”, come viene così definito anche nel “XX Rapporto sul Turismo Italiano – Edizione 2015/2016” a pagina 48.

Riguardo al “turismo che non appare”, che Becheri nel corso dell’incontro a TTG ha definito anche “turismo non commercializzato”, per distinguerlo da quello commercializzato che viene ospitato nelle strutture ricettive ufficialmente classificate e analizzato dalle statistiche dell’ISTAT: “Gli arrivi e le presenze ufficialmente rilevati dall’ISTAT – ha dichiarato al riguardo Emilio Becheri – sono i documenti più attendibili per le analisi e per i confronti temporali, ma non rilevano l’intero fenomeno del turismo perché non sono considerati gli arrivi e i pernottamenti nelle abitazioni per vacanza e i soggiorni presso parenti ed amici sempre per vacanza. Tuttavia – ha concluso Becheri – è possibile fare riferimento ad altre indagini e desumere da queste il “turismo che non appare”, ma che è ben presente in altre indagini come quella campionaria sui viaggi e le vacanze degli italiani realizzata ogni anno dall’ISTAT, o come la “Indagine sul turismo internazionale alle frontiere” realizzata ogni anno dalla Banca d’Italia”.

3 – Dal “turismo commercializzato” al “turismo che non appare”

E proprio prendendo spunto dall’indagine della Banca d’Italia sul movimento turistico internazionale verso l’Italia, sono partito per capire ciò che nascondono le statistiche ufficiali dell’ISTAT che, va precisato, non ha alcun obbligo di analizzare il sommerso turistico o, se si preferisce, il cosiddetto turismo che non appare, anche se la Banca d’Italia a sua volta non analizza il movimento turistico degli italiani che passano le vacanze nel nostro paese, ma solo di quelli che effettuano viaggi all’estero.

Mettendo quindi a confronto le due fonti, l’ISTAT da una parte e la Banca d’Italia dall’altra, ho sintetizzato i risultati nella tabella 1, relativi alle presente (pernottamenti) dei turisti stranieri in Italia negli anni 2021 e 2022, da cui si evince che nel 2021 secondo l’ISTAT le presenze sarebbero state oltre 106 milioni, mentre secondo la Banca d’Italia sarebbero state quasi il doppio: 208 milioni e mezzo, Nel 2022 secondo l’ISTAT sarebbero state poco più di 201 milioni, mentre secondo la Banca d’Italia sarebbero state oltre 356 milioni!

Tali macroscopiche differenze si spiegano con il fatto che, come ho già detto in precedenza, l’ISTAT analizza solo il movimento turistico che si verifica nelle sole strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere ufficialmente riconosciute e classificate come tali, mentre la Banca d’Italia tiene conto di tutte le transazioni relative ai turisti internazionali che soggiornano nel nostro Paese in qualsiasi tipologia di struttura ricettiva, classificata o meno, comprese le case vacanza in affitto anche presso amici o parenti.

Non esistono però statistiche da fonti ufficiali come ISTAT e Banca d’Italia, che analizzino il movimento turistico degli italiani che soggiornano per vacanza negli oltre 3 milioni di case e appartamenti di cui parlano le ricerche di Mercury/Rescasa e di FIAIP cui si è accennato in precedenza, di conseguenza per quantificare con una certa approssimazione tale movimento ho fatto ricorso alla metodologia di calcolo pubblicata sul già citato “XX Rapporto sul Turismo Italiano – Edizione 2015/2016”, e in particolare al capitolo “Fra congiuntura e lungo periodo”, curato da Emilio Becheri, dove sono stati presi come dati di riferimento quelli relati al movimento turistico in Italia nel 2014 (vedi tabella 1).

Quell’anno la Banca d’Italia rilevò 326.412.000 pernottamenti dei turisti stranieri in Italia, pari a 1,75 volte quelli rilevati dall’ISTAT, che furono 186.793.000, per cui fu 1,75 il moltiplicatore per passare dai dati dell’ISTAT a quelli della Banca d’Italia.

Riguardo ai turisti italiani, quell’anno l’ISTAT rilevò 190.978.000 pernottamenti negli esercizi ricettivi alberghieri ed extralberghieri classificati ufficialmente, mentre in mancanza di indagini dalla Banca d’Italia sul movimento turistico degli italiani in Italia, Becheri prese come termine di paragone i dati dell’Indagine sui viaggi e vacanze degli Italiani della stessa ISTAT che considera tutte le forme di ricettività usate per i pernottamenti, comprese le abitazioni per vacanze, sia quelle di proprietà o in affitto compresi anche i soggiorni presso amici e parenti.

Dal confronto di questi dati con quelli delle statistiche relative alle strutture ricettive ufficialmente classificate, risultò che i 191 milioni di pernottamenti in queste ultime nel 2014 rappresentavano soltanto il 18,5% di quelli totali. Di conseguenza i pernottamenti complessivi degli italiani, compresi quelli nelle seconde case arrivavano a 689,6 milioni (vedi tabella 2), pari cioè a 3,61 volte con un moltiplicatore quindi di 3,61, per cui le presene turistiche complessive dei turisti italiani e stranieri in tutte le strutture ricettive ufficiali e non, sarebbero risultate 1,16 miliardi contro i 377,8 milioni rilevate dall’ISTAT (vedi tabella 2).

Applicando quindi la stessa metodologia di calcolo e gli stessi moltiplicatori anche ai dati relativi agli anni 2021 e 2022 (pur conscio che tali moltiplicatori siano leggermente diversi rispetto a quelli del 2014) si ottengono i seguenti risultati (tabella 2): nel 2021 le presenze turistiche complessive in tutte le tipologie di ricettività sarebbero state 846,5 milioni, contro i 289,2 milioni rilevati dall’ISTAT nelle strutture ricettive ufficialmente classificate, e nel 2022 sarebbero state rispettivamente 1 miliardo e 113 milioni, contro 412 milioni.

4 – L’apporto del turismo all’economia italiana

Secondo l’ISTAT e la Banca d’Italia (vedi tabella 3) nel 2022 i 412 milioni di presenze complessive nelle strutture ricettive ufficialmente classificate avrebbero generato una spesa turistica di 125,251 miliardi di euro, cui vanno aggiunti altri 39,363 miliardi di spese per affitti turistici brevi nelle case vacanza, per un totale di consumi turistici di 164,614 miliardi di euro.

I posti di lavoro generati da tali consumi sarebbero stati 2.064.000, come riportato sul XXVI Rapporto sul Turismo Italiano 2022/2023 nel capitolo “Il turismo nell’economia italiana” a cura di Mara Manente e Enrico Conti.

A questo punto sorgono spontanee le seguenti domande, alla luce di quanto finora emerso dall’analisi del movimento turistico complessivo nel nostro Paese nel 2022, soprattutto in relazione al cosiddetto “turismo che non appare”:

-Se 412 milioni di presenze nel 2022 hanno generato consumi per 164,6 miliardi di euro, quanti miliardi effettivi di euro avrebbero generato 1.113.400.000 presenze, tenendo conto anche di quelle “non rilevate” nelle case-vacanza?

-Quale sarebbe il peso effettivo dell’economia del turismo nel nostro Paese rispetto ad altri settori economici se si tenesse conto di quanto sopra?

-Quale sarebbe l’effettivo contributo dell’economia del turismo alla formazione del nostro P.I.L.?

-Quale sarebbe il peso effettivo del Valore Aggiunto Turistico su alcuni comparti produttivi, come per esempio l’agricoltura, il commercio, le infrastrutture, il patrimonio culturale, con i quali il turismo attiva “interdipendenze settoriali”?

-Quanti posti di lavoro effettivi avrebbero attivato 1,113 miliardi di presenze, tenuto conto che 412 milioni, secondo il XXVI Rapporto Sul Turismo Italiano**, ne avrebbero generato 2.064.000?

5 – A proposito dei segmenti di turismo

Passando dai big data all’analisi dei dati sui vari segmenti di turismo, le statistiche diventano ancora più vaghe e in qualche caso addirittura inattendibili anche perché è quasi impossibile stabilire una netta distinzione e individuazione delle risorse più caratterizzanti determinate destinazioni, se non attraverso una “categoria turistica prevalente”, cioè la vocazione turistica potenziale del Comune individuata prevalentemente sulla base di criteri geografici (vicinanza al mare, altitudine, ecc.) e antropici (grandi Comuni urbani), definita in base all’enunciato della legge. n. 77/2020, all’articolo 182 denominato “Ulteriori misure di sostegno per il settore turistico”.

“L’individuazione della categoria turistica prevalente, come indicato dall’art. 182 – ha precisato Maria Teresa Santoro nel corso del convegno a TTG – è vincolata anche alla presenza di condizioni minime relative alle presenze turistiche. A tale scopo, la normativa ha indicato come riferimenti informativi utili alla individuazione sul territorio, delle aree a maggiore densità turistica ovvero prossime ai siti di interesse, la classificazione relativa alla territorialità delle attività turistico-alberghiere, che aveva portato all’individuazione di aree territoriali omogenee per l’applicazione degli Studi di settore, nonché le rilevazioni sulla capacità di carico turistica del MIBACT e gli indicatori di densità turistica dell’Osservatorio Nazionale del Turismo (ONT), che misurano il rapporto tra il numero di presenze turistiche e la superficie del territorio, tenuto conto della popolazione residente.

“La combinazione di queste due classificazioni – si legge infatti nel manuale dell’ISTAT “Classificazione dei comuni in base alla densità turistica, ex Legge. n. 77/2020, art. 182″offre quindi un’articolata descrizione della vocazione turistica dei Comuni italiani e permette di approfondire in maniera puntuale (nonché con l’individuazione di “cluster”) la collocazione dei Comuni rispetto alla complessa dimensione turistica”.

5.1 – Il turismo culturale: il segmento più importante

I risultati di questa metodologia di classificazione sono riportati nella tabella 4 dove la segmentazione per turismi non viene specificata ma si può dedurre dalle diverse “vocazioni turistiche” dei vari Comuni, da cui risulta che, con grande approssimazione, il segmento più importante del turismo italiano sarebbe quello culturale, che appare citato o si deduce da cinque diverse categorie di comuni: “Grandi Città con turismo multidimensionale”, “Vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica, ecc.” (2 volte), “Marittima e culturale”, “Montana e culturale..”.

In queste cinque categorie di Comuni nel 2019 si sarebbero complessivamente realizzati 269,7 milioni di presenze: il 61,7% dei 436,7 milioni che si sono verificate in Italia.

La cultura infatti si declina e si manifesta in tanti aspetti: illuminante al riguardo è la definizione che ne diede l’antropologo Edward Burnett Tylor nel 1871 nel suo libro “Primitive Culture”: “La Cultura è quell’insieme complesso che include il sapere, le credenze, l‘arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società”.

In concreto nei suddetti cinque cluster di comuni turistici sotto la parola “cultura” si nascondono diverse risorse oltre il patrimonio culturale materiale e immateriale, come l’enogastronomia, le produzioni tipiche artigianali, gli eventi legati alla religiosità, alle tradizioni, al ciclo dell’anno e dell’uomo, il patrimonio demoetnoantropologico ecc., per cui bisognerebbe parlare di “turismi culturali”, più che di semplice turismo culturale.

Va anche osservato che il cluster costituito dalle 12 “Grandi città con turismo multidimensionale” che hanno realizzato 86,1 milioni di presenze nel 2019 (il 19,7% del totale) comprende, oltre a quello culturale, anche almeno altri due segmenti molto importanti come il turismo d’affari e il turismo congressuale, che verrà esaminato più avanti.

La classificazione dei Comuni in base alla densità turistica e alla loro vocazione/categoria turistica prevalente dell’ISTAT, ha avuto anche il merito di cancellare definitivamente il vergognoso (non si può usare un termine diverso!) Decreto Ministeriale del 18 marzo 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’allora Ministro Giulio Tremonti, recante: “Individuazione di nuove aree territoriali omogenee e aggiornamento della territorialità delle attività turistico-alberghiere – Descrizione delle aree territoriali delle attività turistico-alberghiere”, pubblicato nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31/3/2004, Serie generale.

Tale decreto suddivideva l’Italia in 14 gruppi diversi di Comuni a seconda della vocazione o categoria turistica prevalente; tra questi, il “Gruppo 1” comprendeva i Comuni e le “Aree prive di vocazione e/o funzione turistica”, definendolo testualmente: “È il gruppo più numeroso e comprende quei comuni che non presentano alcuna specifica attrattiva nei confronti dei flussi turistici, non possedendo né particolari beni di interesse storico, culturale, artistico, né elementi di interesse paesaggistico-ambientale, né specifica rilevanza per il turismo d’affari. Si tratta quindi di quei comuni la cui struttura ricettiva è del tutto assente o comunque irrilevante e che pertanto si possono definire despecializzati in relazione all’industria turistico-alberghiera”.

Scorrendo l’elenco dei Comuni inseriti nel “Gruppo 1” si rimane sbalorditi perché vi sono anche città dichiarate dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità; ne cito soltanto alcune: Alberobello, Aosta, Aquileia, Arezzo, Ascoli Piceno, Bari, Bergamo, Cagliari, Caserta, Ercolano, Ferrara, L’Aquila, Loreto, Mantova, Marino, Matera, Modena, Noto, Orvieto, Parma, Perugia, Piazza Armerina, Pisa, Riomaggiore, San Gimignano, Siena, Spoleto, Torre Annunziata, Trento, Trieste, Udine, Urbino, Venaria Reale, Vicenza, Viterbo…!

Per fortuna l’ISTAT, con la nuova classificazione dei comuni turistici, ha individuato soltanto 1.704 “Comuni non turistici”: il 21,5% del totale dei 7.926 Comuni, al contrario del Decreto di Tremonti, secondo il quale quelli “privi di vocazione e/o funzione turistica” costituivano invece il gruppo più numeroso, oltre che, aggiungo io, il più assurdo e cervellotico!

5.2 – I turismi del mare

Il secondo segmento per importanza, dopo quello culturale, è costituito dal cluster dei Comuni “a vocazione marittima”, dove nel 2019 si sono realizzati 85,8 milioni di presenze, il 19,6% di quelle totali. Presumibilmente trattasi di turismo balneare, cui però bisognerebbe aggiungere anche una parte degli 87,3 milioni di presenze realizzate dai Comuni appartenenti al cluster a vocazione “Marittima e culturale, storica, artistica e paesaggistica”, che rendono molto complesse le indagini tendenti a estrapolare i vari segmenti e nicchie secondari, rispetto al turismo balneare tout-court.

La tabella 4 ha quindi lo scopo di evidenziare anche e soprattutto questa difficoltà, alla luce anche dei prossimi due segmenti che illustro nei seguenti due sotto-paragrafi: il turismo congressuale e il turismo enogastronomico in quanto analizzati da due specifici Osservatori.

5.3 – Il “fantasma” del Turismo enogastronomico

Il motivo per cui definisco fantasma il segmento del turismo enogastronomico sta nel fatto che pur essendo oggetto di analisi da parte del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano”, curato da una grande esperta di discipline turistiche come Roberta Garibaldi e promosso dall’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, tuttavia in tale rapporto non vi è alcun dato sul movimento turistico attivato dall’enogastronomia, come numero di arrivi e di presenze nelle zone di produzione di tipicità o all’interno delle centinaia di Strade del Vino e dei Sapori, dell’Olio, ecc., o nelle Città del Vino, del Pane o nei “luoghi del gusto”.

Non vi è alcun cenno alla spesa turistica sostenuta dai turisti, nonostante l’enogastronomia costituisca, secondo diversi Istituti di ricerca internazionali come il “Country Brand Index”, la risorsa motivante più importante del nostro Paese dopo il patrimonio culturale.

A titolo esemplificativo riproduco di seguito dal suddetto Rapporto la “Tabella 3” relativa alla partecipazione da parte dei turisti enogastronomi alle “esperienze” enogastronomiche nei luoghi di produzione nel corso dei viaggi svolti negli ultimi 3 anni, da cui risulta evidente che più che di un rapporto sul turismo enogastronomico nel nostro Paese, si tratti di un’indagine di carattere motivazionale e sociologico sulle esperienze vissute o attese, di nessuna utilità quindi da un punto di vista statistico quantitativo sul turismo in senso stretto.

Tratto da: Garibaldi Roberta, “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano, Tendenze e Scenari

5.4 – La danza dei numeri del turismo congressuale

Gli spunti per trattare il tema delle statistiche sul turismo congressuale sono stati suggeriti sia dall’esistenza dell’Osservatorio Congressuale Italiano dei Congressi e degli Eventi (OICE), promosso da “Federcongressi & Eventi” e condotto dall’Università Cattolica di Milano, sia da alcuni titoli e comunicati stampa che davano la notizia di una sorta di primato europeo e quasi mondiale che avrebbe raggiunto l’Italia come sede dei congressi internazionali nel 2023 e che qui di seguito riporto, anche al fine di smentire tali primati “numeri alla mano”!

– Comunicato stampa del Ministero del Turismo del 13 maggio 2024: “Turismo, la scalata dell’Italia: prima in Europa per congressi ospitati. Grande scalata per l’Italia che in soli cinque anni passa dal sesto al primo posto e raggiunge la vetta d’Europa per numero di congressi ospitati. Il nostro paese è la prima destinazione in Europa per congressi e convegni ospitati nell’anno 2023 secondo il report annuale di ICCA (International Congress and Convention Association). Il traguardo raggiunto è una prima volta assoluta per l’Italia, ed è il risultato di anni di crescita del settore, di una scalata progressiva dalla sesta posizione delle annate 2018/19 alla seconda posizione del 2022 fino a raggiungere l’ambita prima posizione nel 2023. Risultati come questo non arrivano mai per caso: sono il frutto dell’impegno delle imprese e degli operatori, del gioco di squadra con il governo e il ministero e della rinnovata credibilità internazionale dell’Italia, che diviene meta sempre più ambita anche per i congressi internazionali. Un traguardo che è la dimostrazione di come, attraverso strategie mirate e progetti innovativi, la nostra Nazione può crescere e risultare sempre più attrattiva, a 360 gradi”.

– Notizia dell’Agenzia AGI del 24 maggio 2024: “In Italia la fabbrica dei congressi – Il Bel paese scala la classifica delle nazioni che ospitano più congressi. Dal sesto al primo posto in un settore turistico che vede le principali città italiane tra le più attive in Europa”

– Comunicato stampa di Federturismo-Confindustria del 24 maggio 2024: ICCA: Italia prima in Europa per congressi ospitati Prima in Europa e seconda nel mondo dietro gli Stati Uniti. L’Italia conquista la vetta continentale del turismo congressuale e in cinque anni passa dal sesto al primo posto per numero di eventi ospitati nel 2023, secondo il report annuale di ICCA (International Congress and Convention Association)”.

– Dichiarazione della presidente del Convention Bureau Italia del 13 maggio 2024: “Questo è un risultato storico per il settore e per il paese – dice Carlotta Ferrari, presidente di Convention Bureau Italia – Per decenni, l’Italia ha osservato le nazioni concorrenti pianificare e implementare strategie a lungo termine per attrarre flussi turistici, con il settore congressuale che non faceva eccezione. Con l’avvento di Convention Bureau Italia dieci anni fa, si è scelto di valorizzare uno degli asset più significativi del nostro Paese: la capacità di offrire molteplici destinazioni ideali per ospitare congressi internazionali”.

Volendo verificare la veridicità di tali primati ho chiesto al Convention Bureau Italia se oltre ai dati della I.C.C.A., avessero anche quelli di U.I,A. (Union of International Associations), che vengono forniti solo a pagamento (1.250 euro) agli associati per fare un confronto tra queste due fonti di dati: mi fu risposto testualmente per email come segue:

Purtroppo non abbiamo le statistiche UIA. Se da una parte riconosciamo come UIA misuri una platea di eventi estremamente più grande rispetto ad altre organizzazioni (come ICCA, ad esempio), dall’altro include tutta una serie di eventi la cui dinamica di “acquisto delle destinazioni” avviene con dinamiche che esulano totalmente dall’ambito di azione dei convention bureau (come buona parte dei congressi nazionali e soprattutto gli eventi governativi) e che finiscono per dare un’immagine che a nostro avviso esula dai principali trend internazionali presenti nel settore dei congressi. Firmato: Tobia Salvadori – Director Convention Bureau Italia”.

Pur non entrando nel merito di alcune affermazioni estemporanee contenute nella risposta, tuttavia rimane il fatto che anche il Convention Bureau Italia riconosce che la UIA sia un organismo ben più autorevole di ICCA, oltre che di molta più esperienza nell’analizzare e misurare il mercato mondiale dei congressi, essendo nato nel 1907 (la ICCA nel 1972), con un data-base di 499.498 meeting promossi con regolarità in 268 Paesi e 12.110 città, da 28.733 organizzazioni internazionali governative (OIG) e non (OING). Inoltre il suo “Yearbook of International Organizations”  include i profili dettagliati di 75.000 organizzazioni internazionali di circa 300 Paesi e territori, 42.000 circa delle quali svolgono attività con regolarità.

ICCA invece dispone di un database di 220.000 meeting, 20.000 dei quali promossi con regolarità da 11.500 associazioni internazionali.

Diversi tra i due organismi sono anche i criteri di analisi e classificazione dei congressi internazionali:

– ICCA definisce internazionali i congressi con un minimo di 50 partecipanti, provenienti da almeno 3 Paesi diversi

UIA definisce internazionali i congressi che durano almeno tre giorni con almeno 300 partecipanti, il 40% dei quali proveniente da almeno 5 Nazioni diverse; oppure: se l’incontro dura almeno due giorni deve avere almeno 250 congressisti di 5 Nazioni diverse.

Dopo queste premesse, nella tabella 6 metto a confronto i dati dei congressi internazionali e le classifiche dei primi 10 Paesi e città al mondo che hanno ospitato congressi internazionali nel corso dal 2023, da cui risulta che l’Italia secondo la ICCA nel 2023 avrebbe ospitato 553 congressi internazionali, classificandosi al secondo posto nel mondo, dietro gli USA con 690 congressi, e al primo in Europa, come annunciato nei vari comunicati riportati all’inizio di questo paragrafo (con Roma al 7° posto nel mondo con 115 congressi).

Secondo la UIA invece l’Italia con 310 congressi internazionali si sarebbe classificata al 9° posto nel mondo e al 6° posto in Europa preceduta nell’ordine da Francia, Gran Bretagna, Austria, Spagna e Belgio che avrebbe guidato la classifica mondiale con 708 congressi internazionali ospitati, precedendo addirittura gli USA che si sono classificati al secondo posto con 633.

Non è questa la sede per fare un’analisi più approfondita delle due classifiche così difformi, tuttavia è incontestabile il fatto che la classifica dell’ICCA è inattendibile, alla luce non solo di quanto è stato illustrato finora in questo paragrafo, ma anche da quanto affermato dallo stesso Convention Bureau Italia che ha sottolineato come la UIA, che ha declassato l’Italia, sia un organismo ben più autorevole dell’ICCA, i cui dati sono stati invece presi per oro colato da parte non solo della stampa ma addirittura del Ministero del Turismo.

5.4.1 – L’Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi (OICE)

Ancora più inattendibili dei dati forniti da ICCA sui congressi internazionali, sono quelli elaborati annualmente dall’Osservatorio Italiano dei Congressi e degli Eventi (OICE), condotto, come già detto, dall’Università Cattolica di Milano, per le seguenti ragioni:

  • Per eventi congressuali intende “gli incontri della durata di almeno 4 ore con un minimo di 10 partecipanti” che si svolgono nelle sedi congressuali del loro data-base.

  • L’OICE al riguardo conia una definizione di congresso del tutto arbitraria rispetto alle definizioni adottate da decenni dai più importanti organismi internazionali di settore come la IAPCO (International Association of Professional Congress Organizers) ed MPI (Meeting Professionals International).

  • Non fornisce alcuna specifica circa la durata in giorni e le presenze alberghiere generate da tali eventi.

  • Non fornisce alcuna cifra circa la spesa congressuale sostenuta dai congressisti.

  • Sono classificati come internazionali quei congressi con partecipanti provenienti “in numero significativo dall’estero”, senza fornire una specifica circa tale significatività.

  • Sempre in relazione alla internazionalità, risulta poco credibile che un congresso di almeno 10 partecipanti e della durata di almeno 4 ore possa prevedere un numero significativo di partecipanti provenienti dall’estero.

Esaminando la tabella 6 e tenendo in considerazione quanto premesso, balza agli occhi un dato che si potrebbe definire anomalo: nel 2023 in Italia si sarebbero tenuti 30.605 congressi internazionali, contro i 553 rilevati dall’ICCA e i 310 rilevati dalla UIA! Questi dati mi portano a una sola conclusione: le statistiche sui congressi non sono credibili anche per le enormi differenze nei criteri di classificazione di tali eventi, nelle fonti di origine dei dati e nella metodologia di raccolta ed elaborazione degli stessi.

Il turismo congressuale infatti è il segmento più difficile e complesso non solo da analizzare ma anche da pianificare, promuovere, organizzare e gestire a causa dell’eterogeneità e numerosità dei soggetti coinvolti: organismi promotori, imprese di organizzazione, fornitori di servizi e tecnologie per la comunicazione, sedi congressuali, servizi turistico-ricettivi, vettori, catering, interpretariato, personale di accoglienza, congressisti, organismi di marketing ecc..

6 – Overtourism e turismo sostenibile

Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), l’Overtourismconsiste nell’impatto che il turismo determina su una data destinazione o su parti di essa, che influenza eccessivamente la qualità della vita percepita dei residenti e/o la qualità dell’esperienza da parte dei visitatori”.

Questa definizione viene compresa meglio se la si accosta a quella di turismo sostenibile enunciata sempre dall’UNWTO che recita così: “Il turismo sostenibile è un innovativo modo di viaggiare ed esplorare i territori, che soddisfa i bisogni dei viaggiatori, delle comunità locali, dell’ambiente e delle aziende, salvaguardando non solo gli equilibri ambientali, ma anche quelli sociali ed economici, offrendo allo stesso tempo nuove opportunità di sviluppo a lungo termine e per il futuro delle prossime generazioni”.

Una delle cause dell’overtourism è determinata dall’eccessivo aumento del flusso di visitatori in una data destinazione (città, borgo, piccola isola ecc..), concentrato in certe date e stagioni senza tener conto della capacità di carico (fisico, antropico, infrastrutturale, “culturale” in senso lato) che tale destinazione può sopportare.

Gli esempi al riguardo in Italia e in Europa si sprecano: da Barcellona a Venezia, dalle Baleari alle Cinque Terre, da Capri a Firenze ecc..

Quelle che però non vengono denunciate e che invece stanno all’origine del fenomeno dell’overtourism imputabile a un’eccessiva affluenza di visitatori (turisti ed escursionisti!), sono le cause che determinano tali flussi insostenibili e che vanno imputate alle stesse località e in particolare ai responsabili della (mancata) programmazione turistica dei territori, che hanno consentito in passato e consentono tutt’ora un’eccessiva offerta di servizi e attività turistico-ricettive non compatibili con i limiti fisici, geografici e antropici dei loro territori, nella errata convinzione che più record di arrivi e presenze si raggiungono, più il turismo si sviluppa e apporta benefici alla località.

Purtroppo si tratta di un errato concetto dell’economia del turismo, perché l’incremento di strutture e infrastrutture per l’accoglienza comporta necessariamente una modifica dell’ambiente naturale, antropico e del paesaggio culturale che, essendo le materie prime attrattive dei prodotti turistici, alla lunga si degradano e trasformano fino a diventare poco attrattivi con conseguenti forti diseconomie a carico delle stesse imprese e attività turistiche.

Un progetto di sviluppo turistico non può essere finalizzato solo a far stare bene i turisti, ma deve tendere in primis a costruire comunità e luoghi dove la gente e quindi in primis i residenti “vivono bene” e quindi anche i turisti che vi si recano per vivere esperienze, emozioni e suggestioni indimenticabili.

Tutto il contrario quindi di quanto afferma uno dei più prestigiosi Istituti italiani: lo Studio Ambrosetti-the European House che nel 2007 nel suo elaborato dal titolo “Sistema Turismo Italia, Proposte per essere vincenti” sul futuro del turismo nel nostri Paese afferma che: “Un Paese bello e gradevole per gli altri è un Paese bello e gradevole anche per chi ci vive”.

Va inoltre osservato che, come nel caso delle Cinque Terre in Liguria, più che di overtourism si tratta di “overexcursionism“, dal momento che la ricettività ha avuto incrementi trascurabili in questi anni, mentre al contrario è esploso in maniera incontrollata l’escursionismo giornaliero originante in treno da La Spezia soprattutto e anche da Genova e Savona, da dove arrivano i crocieristi che sbarcano nei loro tre porti.

L’overtourism che invece si verifica a Firenze e soprattutto a Venezia è causato in primis dalla loro notorietà e bellezza a livello mondiale, ma anche dall’aumento dell’offerta turistico-ricettiva soprattutto di cosiddetti affitti brevi e di “bed & breakfast”, anche se questi ultimi hanno caratteristiche ben diverse rispetto alle strutture universalmente conosciute, definite e gestite come tali, soprattutto se si tiene conto delle leggi regionali in materia di attività ricettiva esercitata a carattere famigliare, come nel caso dei veri “bed & breakfast”, invece che a carattere imprenditoriale come purtroppo succede in molte regioni e città italiane.

A titolo esemplificativo di causa-effetto dell’overtourism denunciato da Venezia riproduco la tabella n. 7 dove è evidenziato l’aumento della offerta turistica che si è verificato negli ultimi anni dal 2015 al 2023 e che, a mio parere, è una delle causa fondamentali del fenomeno.

7 – La competitività e il ranking del turismo italiano nel contesto mondiale

Un altro argomento affrontato nel corso del convegno svoltosi a TTG e promosso da Italian Travel Press è stato quello dell’attendibilità delle statistiche sul movimento turistico internazionale/mondiale e in particolar modo sulle classifiche e ranking dei vari Paesi ricettori di domanda turistica, anche per verificare se corrisponda o meno al vero l’affermazione diffusa da anni dalla stampa del nostro Paese che la Francia sia il Paese più visitato al mondo dai turisti.

Come noto, tale affermazione si basa sul fatto che la Francia denunci da diversi anni il numero più alto al mondo di arrivi di turisti internazionali alle sue frontiere, come per esempio risulta anche dalla tabella 8, da cui si evince che nel 2019 sarebbero entrati in 90,9 milioni di turisti, mentre nel 2022 sarebbero stati solo 79,4 milioni: numeri che collocherebbero comunque la Francia sempre al vertice mondiale.

La fonte dei dati riportati nella tabella 8 è l’Organizzazione Mondiale del Turismo dell’ONU (UNWTO) che, ha precisato al riguardo nel corso del convegna Maria Teresa Santoro dell’ISTAT, non effettua rilevazioni proprie nei vari Paesi membri dell’Organizzazione, ma si limita a recepire e a rielaborare le statistiche sul turismo che gli vengono fornite dalle Autorità e dai relativi Istituti di statistica dei singoli Paesi membri come l’ISTAT per quanto riguarda l’Italia.

Le statistiche elaborate e diffuse dall’UNWTO non entrano quindi nel merito delle modalità di raccolta dei dati comunicati dai singoli Paesi, anche perché fin dal 1994 vengono periodicamente promossi dall’UNWTO, dall’OCSE e da EUROSTAT i cosiddetti “Global Forum on Tourism Statistics“, al fine di omogeneizzare/standardizzare tra i vari Paesi membri le metodologie di elaborazione delle statistiche sul turismo: si pensa quindi che ognuno di essi si adegui e rispetti le linee guide dettate nel corso dei suddetti forum.

Esaminando i dati riportati nella tabella 8 si hanno i seguenti risultati relativi al movimento turistico internazionale del 2022 denunciato dai vari Paesi e diffuso dall’UNWTO: la Francia come già detto occuperebbe il primo posto al mondo per numero di arrivi di turisti internazionali alle sue frontiere con 79,4 milioni, seguita nell’ordine dalla Spagna (71,7), dagli USA (50,9), dalla Turchia (50,5) e dall’Italia, che con 49,8 milioni si collocherebbe al quinto posto.

Le presenze turistiche internazionali denunciate dai singoli Paesi ribaltano però clamorosamente la classifica sugli arrivi, che vedrebbe al primo posto la Spagna con 271,4 milioni di presenze, seguita al secondo posto dall’Italia con 201,1 milioni, al terzo posto dalla Turchia con 147,2 milioni, mentre la Francia si collocherebbe solo al quarto posto con 123,9 milioni; non sono state invece comunicate le presenze nel 2022 negli USA.

Va inoltre osservato che se si dovesse tenere conto dei 356,6 milioni di presenze effettive dei turisti internazionali rilevati dalla Banca d’Italia (vedi tabella 1), il nostro Paese nel 2022 sarebbe stato effettivamente il Paese più visitato al mondo, con buona pace non solo della Spagna ma anche della nostra “Nazione sorella”!

Inoltre l’attendibilità dei dati sugli arrivi dei turisti internazionali alle frontiere dei Paesi dell’Unione Europea è inficiata dal fatto che con l’entrata in vigore nel 1993 degli accordi di Shengen, è stato introdotto il principio della libera circolazione delle persone all’interno dei confini dell’U.E. senza alcun controllo alle frontiere. Ci si chiede quindi come la Francia riesca a contare i turisti europei che vi arrivano.

Un’ulteriore perplessità sorge sul presunto primato della Francia come destinazione turistica se si esaminano i dati della permanenza media: si scopre infatti che nel 2022 ogni turista internazionale vi sarebbe restato in media soltanto 1,44 giorni, dato che la collocherebbero all’ultimo posto tra i dieci paesi più visitati al mondo, contro i 4,17 giorni della Spagna (prima), i 4,03 dell’Italia (seconda), i 4,01 della Grecia (terza) e i 3,74 giorni dell’Austria che si collocherebbe al quarto posto.

In relazione agli incassi nel 2022, il primo Paese sarebbero stati gli USA con 135,2 miliardi di dollari lordi, seguiti dalla Spagna con 72,9, dalla Gran Bretagna con 67,6, dalla Francia al quarto posto con 59,7, dagli Emirati Arabi Uniti con 49,3 e dall”Italia che con 46,6 miliardi di dollari incassati si sarebbe collocata al sesto posto a livello mondiale.

Il Paese più caro al mondo sempre nel 2022 sarebbe stato presumibilmente gli USA perché è il Paese che ha realizzato gli incassi lordi di gran lunga maggiori di tutti gli altri, di cui però non sono stati comunicati i dati sulle presenze, per cui non sono stato in grado di calcolare la media di spesa pro-capite per ogni giornata di presenza.

In base ai dati disponibili quindi è risultato che un giorno di permanenza è costato mediamente 481,6 dollari in Francia, 462,5 in Germania, 353,4 in Messico, 281,2 in Turchia, 268,6 in Spagna, 231,7 in Italia, 203 in Austria e 166,7 dollari in Grecia, che risulterebbe così il Pase più conveniente nel ranking dei primi dieci Paesi più “turistici” al mondo.

8 – Conclusioni

Il convegno non aveva l’ambizione di inventare nuove metodologie di indagine, elaborazione e classificazione delle statistiche nel turismo ma, attraverso gli interventi e le testimonianze di esperti, di effettuare una sorta di esegesi di alcune fonti statistiche in modo da dimostrare, per quanto possibile, la limitatezza di alcuni dati troppo spesso accreditati come esaustivi, soprattutto dal mondo dei media, di un fenomeno “plurimo e complesso” come il turismo inteso non solo come fondamentale settore economico, ma anche e soprattutto come fenomeno di carattere sociale, culturale e politico nella sua più ampia accezione.

Troppe infatti sono le variabili e i fenomeni di natura sia endogena sia esogena che ne influenzano le dinamiche e i trend, cui si aggiungono anche eventi e shock erratici sia positivi come le olimpiadi, sia negativi come la pandemia da covid. Il turismo infatti per “produrre” a sua volta e confezionare la sua offerta deve attingere le materie prime e tutti i suoi fattori di produzione da tutti gli altri settori non solo economico-produttivi e infrastrutturali, ma anche dal patrimonio ambientale, naturale, culturale e antropico del territorio di riferimento.

Di conseguenza qualunque evento o fenomeno investa tali settori influisce anche nelle dinamiche dell’offerta turistica, cha a sua volta subisce anche le crisi e le dinamiche che investono anche i paesi emettitori di domanda turistica e quindi le modalità e le motivazioni di acquisto di una vacanza o di un viaggio da parte dei loro potenziali turisti.

Per spiegare e comprende pienamente le dinamiche e i trend relativi al movimento turistico verso una data destinazione, regione o nazione, non sono quindi sufficienti le sole statistiche ma sono necessarie altre analisi di varia natura come si è accennato in precedenza.

Sulla inadeguatezza delle indagini statistiche nella comprensione di un determinato fenomeno si era già espresso un esperto di ricerche motivazionali come Harry Henry che nel suo libro del 1987 La ricerca motivazionale, Come effettuare ricerche sulle motivazioni d’acquisto dei consumatori e dei rivenditori” scrive che: “Le statistiche sono come i bikini: rivelano cose molto interessanti e istruttive ma in genere nascondono l’essenziale!”.

Dopo questo carrellata di numeri illustrati nel corso del convegno di Italian Travel Press nell’ambito di TTG 2024 a Rimini, credo che nelle statistiche del turismo non siamo già arrivati al…bikini, ma siamo fermi ancora al…burka!

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